LA SAGGEZZA NEL CILENTO
Nell’antica civiltà contadina del
Cilento la saggezza si identificava spesso con la cultura popolare
dell’anziano, le convinzioni religiose e sociali del vecchio parroco, le
conoscenze mediche del vecchio farmacista che procurava decotti ed unguenti per
ogni malattia, i detti del nonno, frutto di una lunga esperienza di vita, e
quindi, se validi per lui, altrettanto per i parenti e gli amici. Il saggio,
comunque, era il grande maestro per meriti acquisiti sul campo di battaglia di una
società ristretta, chiusa, diffidente alle innovazioni portate dall’esterno
accettabili in parte ma discutibili pure… Diciamo subito che il livello
culturale – molto basso – non permetteva emendamenti anche approssimativi. Ma
il saggio del paese, figura carismatica, anche se non aveva studiato trattati
di sociologia o psicologia, rimaneva sempre il colto della comunità. Qualche
frase tramandata dagli avi, qualche detto imparato a memoria, qualche
similitudine tratta dal mondo agricolo pastorali, completavano la sua figura.
Anche la figura del prete o di un monaco mantenevano un certo carisma, ma solo
fino a quando il suddetto rigava dritto e non sconvolgeva la sua missione
mescolandola con affetti o interessi personali. Il vescovo-conte, antica figura
medioevale, non solo nel Cilento ma anche in molti paesi di tutt’Italia,
abbracciava la fede e la comunità umana, cioè il corpo e lo spirito. Su quello
che affermo esiste una nutrita bibliografia su fatti e misfatti compiuti al
tempo da siffatti malfattori. Chi operava con fede per la comunità e la
solidarietà era considerato una specie di santone. Tenga conto il lettore che
nella società medioevale cilentana, come pure nelle altre, esisteva una grossa
percentuale di disabili, detti anche storpi, scemi, pazzi, sciancati, pezzenti,
disabili, malati, nullafacenti che trovavano precario sostentamento nelle opere
caritatevoli della parrocchia del villaggio. In quasi tutte le comunità
cilentane dell’epoca, esistevano delle confraternite e associazioni spontanee
di altro tipo che offrivano una pratica solidarietà a chi ne aveva bisogno.
Unico vantaggio era lo spirito genuino e spontaneo dei facenti parti di queste
associazioni di volontariato, quasi sempre gestito dalla parrocchia del paese,
che si faceva sentire nei momenti del bisogno. A questo punto non posso fare a
meno di citare tre grossi esempi di volontariato caritatevole padre Giacomo, Alberto,
la Caritas, il Centro di aiuto alla vita e le altre associazioni del no profit
che aiutano anche gli immigrati, anche se di credo religioso diverso. Agropoli,
una cittadina multietnica e multirazziale, rappresenta il massimo della
solidarietà umana. Per quando riguarda l’accoglienza, l’assistenza, la
collocazione nel mondo del lavoro pulito, l’intreccio di civiltà, cultura e
religione diversa, motivi che sviluppano un collage con varie componenti, tutte
atte alla costruzione di un mondo migliore.
Catello Nastro