domenica 30 ottobre 2011

Ama il prossimo tuo...

LA CAREZZA DELLA SOLIDARIETA’

Venerdì 28 ottobre 2011, telegiornale serale. Ancora immagini del disastro in Liguria. Terrazzamenti, ma non speculazione edilizia, dice  l’onorevole intervistato. E forse ha ragione. La Liguria rispetta – salvo qualche sporadica eccezione – l’integrità del paesaggio perchè ha capito che il turismo è un insieme di interventi che non prevedono la speculazione. Di nessun genere. Figuriamoci quella edilizia. Eppure una forte pioggia caduta in poco tempo ha creato un disastro, con morti, feriti, case e negozi distrutti, strade che sembravano torrenti in piena, gente che piangeva. Immagini terribili che forse non avremmo voluto vedere per l’atrocità e l’impotenza della popolazione – specialmente gli anziani – a reagire. Una rapidità che non ha dato modo di trovare scampo. Un nubifragio annunciato, ma non di quella portata. Le riprese televisive sono varie, ma quasi tutte della stessa serie: allagamenti, strade come fiumi in piena, porte e finestre sfondate, muri crepati, case distrutte ed intere famiglie in cerca di salvezza. Ma in tutto questo dramma, arrivato in pochi minuti, ma chissà in quanto tempo sanato, c’è stata una parentesi che mi ha colpito molto. Una vecchietta –avrà avuto ottanta o novanta anni – distesa su una barella, con lo sguardo nel vuoto e nel dramma, veniva tirata fuori di casa e portata all’esterno per essere trasportata al più vicino ospedale per l’assistenza immediata e per le cure del caso. Vicino a lei un volontario della Protezione Civile. Non so di quale gruppo, di quale paese, di quale associazione. Un uomo alto, normale, quaranta anni o forse cinquanta – con un sorriso accarezza le guance della sfortunata donna che a quella età deve notare, vivere e sopportare una catastrofe naturale, forse la peggiore della sua ultraottuagenaria vita. L’uomo continua ad accarezzarle le guance, l’anziana donna volge lo sguardo verso di lui, quasi per ringraziarlo di quello che ha fatto. Una carezza. Una semplice carezza fatta ad una donna anziana, malata, in barella, in una situazione drammatica per colpe atmosferiche. Eppure in quelle semplici carezze, di un semplice volontario della Protezione Civile, non so di quale paese, ma poco interessa, ci sta, evidente, tutto il significato di una parola che molta gente ha dimenticato: la Solidarietà. Essa non ha età, sesso, religione, partito politico, nazionalità, condizione sociale. La Solidarietà è forse la cosa più pura che esiste in una società non sempre lodevole per il suo operato. Una società definita “di merda”, ma che non può essere generalizzata. In quella carezza ho visto la carezza di Cristo sceso tra gli alluvionati, per portare una parola di conforto, un aiuto materiale che non costa niente e che non è retribuito. Una carazza ad una anziana nella sofferenza e nella disperazione. Una carezza di un uomo qualsiasi, del nord o del sud, che vota Bossi, Bersani o Berlusconi, che crede in Cristo o in Maometto o in Budda, che è laureato o ha solo la terza media, che vive in una villa o nelle case popolari. Questa è la carezza della Solidarietà: è la carezza di Dio.

Catello Nastro

domenica 23 ottobre 2011

L'articolo della settimana di Catello Nastro

DALLA PIRAMIDE AL GRATTACIELO

Circa cinquanta secoli fa, ovverosia cinquemila anni, nel deserto del nord Africa, avvennero i primi esempi di  speculazione edilizia, oltraggio al paesaggio, impatto ecologico e chi più ne ha più ne metta. Uno dei primi speculatori dell’edilizia, per aver costruito una piramide, fu addirittura divinizzato. Non pensi il lettore che l’autore di questo articolo, pur avendo scritto la sua tesi di laurea,  nel 1968, il famoso anno della contestazione giovanile, sulle “Origini artistiche del Duomo di San Matteo a Salerno: pittura, scultura ed architettura”, voglia tenere una lezione di architettura. Per l’amor di Dio! Sarebbe un compito troppo gravoso e troppo…serio! E’ passato quasi mezzo secolo e seguendo la mia indole semi-seria nella scrittura, un articolo impegnato non sarei proprio capace di scriverlo. Oramai mi occupo di…frivolezze letterarie. Pensate che il mio prossimo libercolo si intitola “ La poesia umoristica ed erotica cilentana”. Ragion per cui anche la piramide ed il grattacielo, a mio avviso potrebbero assurgere a simbologia architettonica dell’organo sessuale femminile e di quello maschile. Ma veniamo subito al primo quesito: la piramide costituisce il primo esempio di speculazione edilizia della storia?  A dire la verità rispondere sarebbe cosa molto ardua anche perché lo scrivente, pur essendo vecchio a quei tempi non era ancora nato. Dopo la prima piramide ne furono costruite alcune altre. Fortunatamente il deserto era immenso ed era…deserto. Gli unici ad approvare la variante al piano regolatore del deserto furono i cani. I miei lettori, gente di cultura, chiaramente sanno che i cani fanno la pipì o vicino ad un albero o vicino ad un muro. Cercare un’oasi era difficile. Prima di arrivarci se la facevano sotto. Per loro fortuna nel deserto non c’era acqua e quindi non potendo bere non potevano nemmeno orinare. Ma da quando furono costruite le piramidi chiesero pure in parlamento (quello egizio, naturalmente!) la costruzione di pozzi artesiani nel deserto per dissetarsi. Quando lo seppe l’onorevole gridò:” I pozzi???Siete pazzi!” Solo dopo secoli furono accontentati. Tutti si interessarono ai pozzi. Ma non d’acqua ma di petrolio…  I pozzi di petrolio dissetano i ricchi mentre i poveri fanno una vita da…cani. I cani decisero di fare un ricorso all’ONU, ma ebbero la sfortuna di trovare come presidente l’onorevole Cammello che rigettò la petizione affermando che loro avevano una gobba piena d’acqua ed anche i cani si potevano costruire una specie di ernia sotto la coda in maniera da portare una grossa riserva d’acqua in maniera tale da dissetarsi per un lungo viaggio nel deserto. Anche la faraona, moglie del faraone, protestò perché i cani per dissetarsi si bevevano le uova che loro nascondevano sotto la sabbia calda per farle schiudere col calore del sole. Il presidente dell’ACI, associazione cani internazionali, l’onorevole Gengiskan, cercò di difendere la categoria, ma non appena vide un gatto nero che gli attraversava il corridoio del grattacielo, si grattò le pa…pebre con la zampa sinistra, per motivi politici e poi presentò una mozione di sfiducia al gattOnu. Adesso hanno costruito i canili, che sono una specie di hotel a una stella per cani randagi, liberi, senza padrone, che non camminano a destra della strada, alla sinistra e nemmeno al centro. Ma anche costoro sono costretti ad essere vittime della speculazione edilizia. Vivono in piccolissimi spazi, mangiano poco e bevono solo quando lo dice il padrone. Vivono all’aperto per paura che il padrone faccia speculazione edilizia. Molti rimpiangono i tempi dei faraoni quando addirittura avevano maggior rispetto di certi esseri umani. Il deserto, il grattacielo, il canile bestiale diventeranno piramidi fra cinquemila anni??? Non lo so anche perché non sarò molto longevo da arrivare a quell’epoca. Rispettiamo il paesaggio, amiamo la natura, una casa per tutti (anche se piccola), sia per gli umani che per i cani, le piramidi ci sono e ce le teniamo, i grattacieli pure, ma cerchiamo di rispettare la natura. Prima che diventi un deserto…magari senza piramidi.

Catello Nastro

PUBBLICATO SUL  N° 38 DEL 22 OTTOBRE 2011
di “UNICO SETTIMANALE" DI PAESTUM

venerdì 21 ottobre 2011

Castellammare di Stabia - Agropoli

21 0TT0BRE 1951 -  21 OTTOBRE 2011
DA 60 ANNI CILENTANO

Avevo appena dieci anni, il 21 ottobre del 1951, quando giunsi con la famiglia ad Agropoli, in  Via S.Marco dove mio padre, buon’anima, impiantò un caseificio dove le mozzarelle si facevano solo con latte e caglio naturale, senza uso di prodotti chimici. Anche perché a quei tempi non ce n’erano. La quinta elementare, le medie, il ginnasio, il liceo classico e poi l’Università (come pendolare) a Napoli presso la Federico II, sul Rettifilo. Quanti ricordi! Ma i miei lettori su supporto cartaceo o su internet li conoscono tutti. Ad Agropoli mi sono trovato bene, anzi benissimo. Emigrato nel 1968 per insegnare in Piemonte non ho mai tagliato il cordone ombelicale che mi legava al caro paese cilentano. Ed anche in questa dozzina d’anni di emigrazione ho fatto il pendolare. Ritornato dal Piemonte ho ripreso le vecchie amicizie che continuano ancora oggi, a 70 anni. Rimpianti??? Nessuno!!! Ho cercato di fare la mia parte. Se qualche volta ho sbagliato, l’ho sempre fatto in buona fede. Sono sereno e di questo rimango contento. La serenità è stata una delle ultime conquiste della mia esistenza terrena. La Fede la prima. La solidarietà la seconda. Buona vita a tutti!!!

Catello Nastro.
http://www.catellonastro.it/

sabato 15 ottobre 2011

Ma che scrivo a fare???

MA CHE SCRIVO A FARE ???


Spesso e sempre con motivazioni diverse, mi pongo questa amletica domanda.  Non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire…Un antico proverbio che fa – o quasi – al mio caso. Nella società contemporanea esistono persone di vario genere. Ci sta chi si dedica alla politica, qualche volta non per aiutare la nazione, ma i parenti, amici, elettori e similari che nell’antica Roma chiamavano “clientes”. Ci sta pure chi si dedica alla malavita,  strafottendosene altamente della morale cristiana ed anche umana, calpestando sovente esseri innocenti che non conosce nemmeno. Ci sono anche i fabbricanti del terrore, quelli del crimine, quelli della violenza, quelli dello sfruttamento illecito della persona fisica e morale altrui, quelli che scrivono…Cosa scrivono si sa perché si può facilmente leggere sui giornali, nelle riviste, nei libri ed infine su internet. Le mie foto su internet non superano la mezza dozzina. Le mie poesie superano oramai le mille, i miei articoli, di vario genere, superano i diecimila. Ma che scrivo a fare? Diciamo subito che non posso più scrivere a mano perché in seguito ad una  degenerazione dovuta all’età, denominata tecnicamente “tremore essenziale senile”, ma mi rimane il computer. Ne possiedo ben quattro. Due di ultima generazione e due piuttosto obsoleti. Soffro di incontinenza compositiva.  Quando mi viene qualcosa in mente mi devo affrettare al computer e creare il “file”. Ma io scrivo e basta. Oramai sono anziano, settantenne, volgarmente chiamato nonno, sono pensionato con moglie, figli e nipoti, ma riesco ancora ad occupare il mio tempo libero scrivendo. Scrivere, a meno che non si facciano nomi ed accuse specifiche, non costituisce un reato. Miei amici e coetanei si danno ancora da fare per accumulare enormi quantità di euro in banche o investimenti mobiliari o immobiliari, da lasciare, una volta defunti, agli eredi, la cui fruizione è senza dubbio discutibile. Tanto non si tratta di soldi accumulati col sacrificio della loro fronte o almeno della fronte dell’avo trapassato ad altra vita ( si fa per dire!!!). Dimenticavo di aggiungere che scrivo anche poesie. Qualcuna ha fatto commuovere la giurìa che ha ritenuto (bontà sua!) assegnarmi un premio consistente, solo simbolicamente, si capisce. C’è stata anche qualche altra giurìa che si è addirittura scandalizzata nel leggere una mia composizione in vernacolo napoletano dal linguaggio piuttosto grasso. Non è che lo scrivente voglia imitare Totò, Salvatore Di Giacomo o Ferdinando Russo. Ma alcuni vocaboli napoletani in linguaggio grasso, ritenuti da giurie bigotte “volgari”, non possono essere sostituiti da sinonimi. Ne perderebbe la dignità partenopea. Giunti a questo punto è giusto che il lettore sappia che ho studiato l’italiano, il latino, il greco ed il francese, ma amo scrivere anche in vernacolo napoletano e dialetto cilentano anche se con qualche imperfezione. Il dialetto piemontese, regione nella quale sono vissuto per circa tre lustri, mi è risultato sempre ostico, ragion per cui di tale dialetto nordico ricordo solo qualche parola o per meglio dire qualche parolaccia che, al contrario, in dialetto napoletano acquista dignità letteraria. Un altro motivo per cui scrivo spesso è perché guardo poco la TV. Ci sono certi programmi interessanti, ma ce ne sono anche alcuni che fanno venire il voltastomaco e l’unico canale che ti viene in mente è il canale di scarico del cesso. Scrivere per me è comunicare. Tutti possono leggere i miei articoli su supporto cartaceo o informatico e, magari, commentarli pure, positivamente o negativamente. Quelli positivi, per fortuna, superano l’ottanta per cento del totale. Scrivere è catarsi, è come liberarsi di qualcosa che tieni dentro da tempo e che finalmente riesci ad esternare. Qualche maligno, a questo punto, potrà pensare che è un poco come andare in bagno. Ma la libertà di… espressione è in ambedue i casi! Qualcuno avrà in eredità libretti postali o bancari. I miei eredi si dovranno accontentare di libretti di poesie e racconti… Non ho mai rubato poesie o racconti di altri, perché la fantasia è ancora ricca. Se lo fosse il conto in banca, secondo alcuni, sarebbe meglio. Ma io non mi lamento. Con la pensione di impiegato statale riesco a sopravvivere. Mangio di meno, cammino di più, come peso sono sceso da sopra i 110, sotto gli 80. Solo come età sono aumentato e di questo ringrazio Iddio ed lo auguro a tutti i miei pazienti, affezionati e…rari lettori. Arrivederci al prossimo articolo…determinativo!

Catello Nastro
PUBBLICATO SUL N° 37 DEL 15 OTTOBRE 2011
DI “UNICO SETTIMANALE” DI PAESTUM

venerdì 14 ottobre 2011

Poeti del Cilento: CATELLO NASTRO

LUCI ED OMBRE
TRA POESIA E POLITICA

Nell’animo del poeta
ora si accendono
ora si spengono
luci ed ombre
di una esistenza diversa.

Diversa nel vivere,
nell’amare profondamente,
nell’emozionarsi per un nulla
fino a cospargere di lagrime
- ora di gioia, ora di dolore -
un candido fazzoletto
ricettacolo di sentimenti:
ora come un forziere,
ora come un bidone
della raccolta differenziata.

Ma la poesia salverà il mondo?
Forse lo farà la politica…
Ma il mondo ha bisogno
più di poesia che di politica.
Il canto del poeta è diverso
dal discorso del politico.

Il canto del poeta
ha la voce di un usignolo:
ora in primavera fiorente,
ora in autunno cadente.
Dare poesia alla vita,
cambiare le regole usuali.

Catello Nastro


sabato 8 ottobre 2011

hAI MAI GUARDATO NEGLI OCCHI TO FIGLIO?

HAI MAI GUARDATO NEGLI OCCHI 
TUO FIGLIO ?

Essere ricchi lo si può essere in due modi: materialmente e spiritualmente o anche moralmente che dir si voglia. Questo è uno scritto da considerarsi un “fuori programma”. Uno di quegli scritti che ti frullano nella testa all’improvviso e proprio all’improvviso decidi di farne un “file”. Si dice spesso che oggigiorno i valori sono stati sovvertiti. Ma non è vero! La storia, anche quella dei libri in uso nelle scuole medie, ci dimostra come, attraverso i secoli, è cambiato il genere dei valori materiali, morali e civili del cittadino qualsiasi, ma non è mai cambiato il sistema politico – sociale. Nell’antica Roma esistevano i falsari, le prostitute, i camorristi, i parassiti, i politici corrotti, i violenti, i martiri ed i falsi religiosi, i buoni ed i cattivi, quelli che camminavano a piedi nudi e quelli che avevano la veloce biga tirata da cavalli di razza, purosangue. Nel Medio Evo il mondo ecclesiastico ebbe vicissitudini molto discutibili, mentre nel Rinascimento le cose cambiarono ( alcune in meglio, altre in peggio). Tralasciamo il ‘700, l’800, l’epoca fascista, l’instaurazione delle Repubblica, la Costituzione, ed arriviamo ai nostri giorni. Siamo agli inizi del  secondo decennio del terzo millennio. Cesare, Bruto, Cicerone ed i martiri cristiani sono solo un ricordo storico. Come pure Spartaco, rievocato recentemente a Giungano. Le rievocazioni sono utili per ricordare le radici, per fare folklore, per incentivare la sagra dei fagioli, della trippa o della “crapa vulluta”. Ci sta sempre, e comunque, qualche storico locale che scriverà e presenterà con un personaggio famoso, tratto dal mondo della politica, della cultura, dello sport o dello spettacolo, in massima parte televisivo, che ingigantirà l’evento. Il quale verrà ulteriormente ingigantito dopo aver scolato una intera bottiglia di primitivo del Cilento, coniata appositamente per la sagra in oggetto.
In tutto questo parapiglia storico e geografico, ci sta un elemento comune: la morale. La mia non è di destra né di sinistra, non è laica né cattolica, di uomo del nord oppure di uomo del sud. Di padre…Semplicemente di padre. Guardare negli occhi i propri figli significa far capire che quando si siedono a tavola, mangiano pane condito col sudore della fronte dei genitori, quando sono piccoli, e loro, quando sono grandi, autosufficienti, lavoratori in qualsiasi settore: impiegatizio, dirigenziale, industriale, commerciale, artigianale, manovale. Il lavoro è dignitoso solo se si fa in maniera dignitosa. In parola povere senza truffare o imbrogliare il prossimo, senza truffare o imbrogliare lo stato, visto come insieme di cittadini che hanno molte cose in comune. Talvolta – disgraziatamente – il cattivo esempio viene proprio da coloro che dovrebbero dare il buon esempio alla collettività di qualsiasi collocazione, di qualsiasi grado, di qualsiasi produttività. Noi non lavoriamo solo per noi, ma anche per quelli che verranno: i figli, i nipoti, i pronipoti, per chi li vedrà, e per tutti quelli che verranno dopo di noi. Guardare negli occhi il proprio figlio significa avere il coraggio di tramandare una eredità morale che va oltre quella materiale. Certamente che palazzi, terreni ed auto di grossa cilindrata sono agognate ed auspicate dai novelli eredi. Ma quando l’elemento di substrato è fasullo, modellato su schemi disonesti per non dire illeciti o addirittura illegali, all’atto della “transazione” come si può guardare negli occhi l’erede di una grossa ricchezza materiale assemblata con metodi a dir poco disonesti? Non sto parlando del lavoratore che si assenta per andare a raccogliere le ulive o dell’impiegato che manda il certificato medico per assentarsi per due giorni dal lavoro perché ha un leggero mal di testa, o del giovane che si assenta per quasi  un’ora dalla sua scrivania per incontrarsi nel corridoio con la fidanzata. Parlo di grossi malfattori, grandi evasori fiscali, speculatori dell’edilizia, camorristi e mafiosi vari, sfruttatori della prostituzione, trafficanti di stupefacenti, strozzini. Per questo, quando un uomo politico, per TV, dice che si deve chiudere per sei mesi  la cartoleria che non ha fatto la ricevuta fiscale di 10 centesimi per una fotocopia, significa solo che egli non ha capito niente!  Quando c’è il raffreddore basta un’aspirina, ma quando il male è grande occorre il ricovero in ospedale. In conclusione, i disonesti ci sono sempre stati e ci saranno sempre, ma non bisogna tenere in pari considerazione il morto di fame che ruba un panino in un supermercato ed il potente uomo politico e il miliardario imprenditore che rubano o evadono somme che si scrivono con parecchi zero. Guardare negli occhi il proprio figlio significa gettare per lui le basi per una società equa e giusta, dove tutti possono mangiare ogni giorno, anche se ci sarà chi mangerà un panino con la mortadella e chi il caviale. Prima l’eredità morale e poi quella materiale. Solamente con questa prospettiva possiamo guardare ad un mondo migliore. Incominciando a guardare i nostri figli negli occhi: con onestà, con orgoglio e con la convinzione che continueranno sulla strada indicata dai genitori.

Catello Nastro

PUBBLICATO SUL  N° 36  DELL’8 OTTOBRE 2011
DI   “UNICO SETTIMANALE” DI PAESTUM

domenica 2 ottobre 2011

Contursi

Contursi
CENTO ANZIANI DI AGROPOLI ALLE TERME DEL TUFARO

Per il quarto anno consecutivo il gruppo “Solidarietà Anziani “ ha scelto le TERME DEL TUFARO di Contursi per le cure prescritte. Dal 19 settembre al 1 ottobre, in due pullman gran turismo, che partivano ogni mattina dei giorni feriali, alle ore 7,30, da piazza Monsignor Merola di Agropoli, davanti al “Centro Sociale Polivalente città di Agropoli” per arrivare dopo meno di un’ora alle modernissime ed attrezzate Terme del Tufaro, provviste di una organizzazione a dir poco eccellente, con ampie sale d’attesa e dove gli attempati ospiti ogni mattina hanno  potuto fare le terapie consigliate dai medici di base e confermate dai medici di controllo alle Terme. Per occupare l’attesa per il proprio turno, una lettura comodamente seduti nelle varie sale, una passeggiata tra il verde della struttura per respirare un poco di aria salubre. Durante il tragitto la signora Maria Croce ha coordinato le preghiere del mattino, il fine dicitore Leonardo Fiordilino ha declamato il repertorio del grande Totò, recitando anche composizioni del grande artista napoletano non molto note al pubblico degli ambulanti ascoltatori. Durante il tragitto, il professore Catello Nastro, membro del comitato direttivo del Centro Sociale Polivalente della cittadina capoluogo del Cilento ha intrattenuto i viaggiatori dissertando sull’importanza della socializzazione nella terza età e sull’opera di solidarietà effettuata, a volte inconsciamente, verso quegli anziani, spesso soli, che riescono a vincere la loro solitudine a contatto con coetanei disponibili al contatto sociale. Sabato 1 0ttobre 2011 ultimo giorno di terapie, si è pensato anche a sollazzare lo stomaco con un pranzo a cinque stelle a base di carne e di pesce fresco, il tutto è stato concluso con il  consueto  pellegrinaggio al Santuario di S.Gerardo, per seguire le funzioni religiose e visitare il mercatino caratteristico. Al ritorno a casa tutti felici e contenti per le due settimane trascorse fuori e pronti per ripartire per la prossima gita organizzata da una delle tante associazioni del territorio o da gruppi spontanei di cittadini che non si possono permettere il lusso di fare il viaggetto “fuori porta” con l’automobile. Appuntamento all’anno prossimo alle TERME DEL TUFARO di Contursi nel quale si è sempre accolti con simpatia, professionalità, organizzazione capillare, Vive congratulazioni agli organizzatori ed al titolare delle TERME DEL TUFARO, sempre disponibile ad accontentare la numerosa utenza.

Agropolicultura.blogspot.com

sabato 1 ottobre 2011

SALSICCE E FUOCHI PITOTECNICI

SALSICCE E FUOCHI PIROTECNICI

Quale connessione possa esserci tra i due soggetti indicati nel titolo non è tanto facile da spiegare. Ma la mia settuagenaria esperienza mi ha portato a fare subito una prima e netta distinzione: tra i botti causati dai bombardamenti e quelli causati dai fuochi pirotecnici alla festa del Santo Patrono del paese. Ad Agropoli, città del Cilento antico, dove vivo da alcuni decenni, i Santi sono parecchi. Ognuno ha la sua bella chiesa che accoglie i fedeli e dove si celebrano battesimi, prime comunioni, matrimoni e funerali. Un servizio per la cittadinanza dei credenti dalla nascita alla morte corporale. Sopra Agropoli, nel centro storico o città alta, ci sta la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, Patroni del paese, nella quale il 16 maggio di quarantuno  anni fa, cioè nel 1970, convolai a giuste nozze con mia moglie che sta già dormendo da due ore, mentre io soffro d’insonnia notturna. Sempre nel centro storico, prospiciente sul mare, la Chiesa della Madonna di Costantinopoli, Patrona e protettrice dei pescatori, non di frodo, naturalmente. Dirimpetto la chiesa di San Francesco, con l’antico convento, sulla strada che porta a Trentova. Poi ci sta la Chiesetta della stazione, quella del Sacro Cuore, che ricorda la bellissima figura di Padre Giacomo e di Don Alfonso, che ebbi l’onore di avere come collega insegnando a Capaccio. Al centro della città la Chiesa della Madonna delle Grazie e nelle due estreme periferie la Chiesa della Madonna del Carmine e quella di Sant’Antonio che mi sembra sia la più recente. Dopo questa ampia introduzione…ecclesiale, avendo omesso le chiese minori, aggiungiamo che tutte queste comunità di devoti, almeno una volta l’anno, fanno una festa. Suoni, cantanti, bancarelle e…fuochi artificiali. Non si bada a spese. Il contributo dei credenti va in…fumo. Ed una volta a Trentova anche in fiamme che per poco non si sfiorò la tragedia. I fuochi di nuova generazione, al fosforo, mi sembra, quando vengono sparati “abbascio a marina”, vicino al porto, cadono sulle acque del mare e poi esplodono. I pesci, ricordando lo sbarco alleato del 1943, si vanno a rifugiare sotto gli scogli, sotto le barche e qualcuno sotto la sabbia. Sono sani come un pesce, ma dopo i fuochi si ammalano, e dalla muta passano direttamente alla mutua. Verso l’una e mezza di notte, indigeni e villeggianti, ospiti del nostro paese, volgarmente definiti bagnanti, proprio perché vengono ad Agropoli per fare i bagni, dopo il finale fanno l’applauso ai fuochisti per la loro bravura. Inutile aggiungere che anche i fuochi pirotecnici, come i pelati, vengono spesso dalla Cina. Ma in tempo di globalizzazione, con la botta, diventano napoletani pure loro, come la pizza margherita. Per fare festa alla festa si spendono ogni anni migliaia e migliaia di euro solo per fare contenti gli amanti dei fuochi pirotecnici, i nottambuli, quelli che della festa del Santo Patrono gradiscono solo i fuochi pirotecnici, le bancarelle, il torrone o la cantante famosa sul palco della piazza o del porto che per aver cantato una dozzina di canzoni, spesso registrate, percepisce altre migliaia di euro. A questo punto la domanda al solito lettore attento ed oculato, sorge spontanea: “ La Spiritualità dove sta???” Non si sa. Sia ben chiaro che non si sa nemmeno dove ai fuochi artificiali preferivano il barbecue con la salsiccia o la bistecca, con un bel panino, il tutti annaffiato con un bel bicchiere di vino. Uno alla volta, senza contare la somma totale. Per digerire: la balera, con l’orchestrina del paese composta da una fisarmonica, una chitarra, una batteria e, magari, anche un cantante di quelli non famosi che vanno alle feste anche solo per devozione. E dove avveniva tutto questo? Nel comune di S.Francesco al Campo, dedicato al Santo Poverello d’Assisi. In provincia di Torino, nel Canavese, dove ho insegnato per circa quindici anni, proprio sotto la pista di decollo dell’aeroporto di Caselle, dove gli aerei passavano, in fase di decollo, a bassa quota e quindi potevano anche essere disturbati dai fuochi artificiali. Annoto, per il lettore pignolo, che questo avveniva anche per molti paesi del Piemonte sprovvisti di aeroporti e pista di decollo. Ho deciso di scrivere questo articolo proprio perché la settimana scorsa è esplosa una fabbrica di fuochi artificiali causando morti e feriti. Un lavoro senza dubbio pericoloso fatto da appassionati di fuochi artificiali che saranno senza dubbio degli artisti veri e propri nel loro mestiere. Ma mettono a repentaglio la loro vita solo per portare a casa uno stipendio dignitoso, guadagnato onestamente, ma rischiando sovente la vita per un lavoro – divertimento, per i fruitori finali. Quando leggo queste notizie mi rattristo. Sono di origini napoletane e Napoli è la città principe nel genere. Ma, in conclusione penso, che se anche nella città partenopea i botti ( famosi quelli di capodanno che spesso procurano morti e feriti) venissero sostituiti dalla salsicciata o, in alternativa, dalla pizza, e da un buon bicchiere di vino di Gragnano, i risultati sarebbero meno pericolosi, faciliterebbero la socializzazione, affratellerebbero i popoli, anche se qualche fanatico dei “botti di capodanno” si asterrebbe dal festeggiare. Fino a qualche anno fa plaudivo ai fuochi artificiali, poi sono passato ai fuochi del barbecue con la grigliata di carne, adesso, a settanta anni, sono passato alla preghiera, alla solidarietà ed alle opere di bene nei confronti del prossimo che ha più bisogno d’amore che di botti.

Catello Nastro


PUBBLICATO SULL N. 35 DEL 1 OTTOBRE 2011
DI “UNICO SETTIMANALE” DI PAESTUM