IL PRANZO DI NATALE NEL CILENTO
Anche oggi gli anziani (come me!) sono ancora legati alle antiche tradizioni del Natale. Pur essendo di origini napoletane, ma essendo venuto a contatto con la cultura cilentana gia nel 1951, ho abbracciato, per la verità, e con piacere, tutte le tradizioni gastronomiche ed enologiche del Cilento, rinnovellando, ogni tanto anche quelle delle origini napoletane. Il pranzo della vigilia di Natale, come vuole la tradizione è a base di pesce. Ma nel Cilento interno questo non era possibile ed i più ricchi potevano permettersi il lusso del baccalà. Per i meno ricchi ci si rifugiava nelle minestre di verdure ed in altre pietanze a base di pasta e pane, che escludevano la carne. Il pranzo di una famiglia media, alla vigilia di Natale poteva così essere composto:
· verdura mista conservata sott’olio o sotto aceto con qualche alice salata. Note anche le focacce e quelle riempite di verdura prima bollite e salate;
· ministrone di verdure di stagione anche con pasta fatta in casa;
· baccalà fritto o alla “sptrita” con peperoncino per propiziare il bicchiere di vino “tuosto”;
· dolci fatti in casa, come pizze varie al forno o fritte con olio;
· frutta secca ( noci e nocelle);
· vino a volontà, ma solo per gli adulti.
Il pranzo del giorno di Natale era una vera e propria abbuffata, perché la maggior parte delle famiglie aveva l’usanza di ammazzare il maiale qualche giorno prima della festa e consumare quelle parti che non potevano essere salate, essiccate, insaccate e quindi conservate per lungo tempo.
· antipasto di “longa” (pancetta stesa o arrotolata con sale, pepe o peperoncino, affettata sapientemente dal padrone di casa. Era piena di grasso apportatore di colesterolo, ma a quei tempi non si facevano le analisi cliniche è quindi nessuno lo…sapeva;
· affettato di sausicchie, soppressate e per i più ricchi anche prosciutto;
· fusilli fatti in casa con ragù di castrato, messo a “pipuliare” per ore ed ore. Naturalmente il piatto recava in cima un bel pezzo di castrato compreso l’osso;
· carne di maiale arrostita nel focone al fuoco di legna (profumata e selezionata) e portata in tavola ancora calda. Per i nonni carne tritata perché non avevano la dentiera, che a quei tempi non esisteva;
· verdure varie di contorno;
· frutta secca che comprendeva anche il famoso fico bianco del Cilento, oggi tanto ricercato, che veniva imbottito con le mandorle del Cilento;
· il dolce completava il pasto natalizio. Altro che pandoro e panettone! Un vassoio gigante di struffoli, castagnelle e scauratielli, fatti tutti col miele, messo da parte già tempo prima;
· anche dopo il dolce gli adulti bevevano vino, mentre ai giovani, ragazzi e donne, era concesso qualche bicchiere di lambiccato, un vino dolce, oggi quasi scomparso, che, unitamente al miglior peretto di primitivo, poteva anche propiziare una nottata di fuoco.
A tarda ora si spegnevano le lanterne, le lucerne, le candele ed i lumini, si metteva la protezione davanti al focone e tutti andavano a dormire. Si mettevano i bambini a letto, si accompagnavano i nonni nelle loro stanze. I genitori chiudevano a chiave la loro stanza e dopo poco si sentiva il rumore delle “sgoglie” dentro il saccone (materasso riempito da involucri delle pannocchie di granoturco, essiccate), che facevano rumore mentre i genitori continuavano a festeggiare l’evento dimenandosi a più non posso.
Oggi queste antiche usanze sono quasi scomparse. Si va in ristorante, ed i più ricchi vanno pure all’estero. Nel XIX secolo la maggior parte dei Cilentani non conoscevano nemmeno Napoli e molti nemmeno Salerno. Oggi, in compenso, le aziende agrituristiche del Cilento ripropongono le antiche pietanze fatte in casa ed il miglior vino del territorio, ricavato da vitigni straordinari tali da competere con i migliori d’Italia. Un felice Natale a tutti i miei lettori, in particolare modo ai giovani affinché non dimentichino mai le tradizioni, la gastronomia e l’enologia del Cilento. (Catello Nastro)
Comunicato stampa a cura di
agropolicultura.blogspot.com
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